Bullismo

Questa opera nasce come una ferita moltiplicata. Un volto che non è uno, ma molti: frammenti di identità schiacciate, occhi che guardano da angolazioni diverse perché sono stati costretti a guardarsi come mostri, prima ancora che come esseri umani.

Il rosso domina come un campo emotivo violento: è sangue simbolico, vergogna, rabbia trattenuta, paura che cola lenta. Le facce si deformano, si sovrappongono, si tirano verso il basso come se il peso delle parole ricevute – insulti, giudizi, etichette – fosse diventato materia.

Gli occhi sono il centro pulsante dell’opera:
alcuni spalancati, altri ciechi, altri ancora fuori asse. Sono gli sguardi del bullo, della vittima, della folla che osserva e tace. Nessuno è innocente. Nessuno è davvero integro.

Le forme colanti, quasi organiche, rappresentano l’identità che si scioglie sotto la pressione sociale. Il bullismo non colpisce solo il corpo o la mente: ridefinisce il volto che credi di avere. Ti frammenta. Ti confonde. Ti fa dubitare della tua stessa esistenza.

Ma c’è resistenza.
Nel caos, il volto centrale non scompare: resta, anche se deformato. È la prova che chi subisce non viene annientato, ma trasformato. E quella trasformazione, se guardata negli occhi, può diventare denuncia, consapevolezza, atto politico.

Quest’opera non chiede pietà.
Chiede di essere guardata senza distogliere lo sguardo.
Perché il bullismo vive nel silenzio.
E questa tela, invece, non tace.