Oggi è andata in onda la seconda puntata della steebloom session che ha visto, come protagonista, Cristiano Godano.
Ci sono luoghi in cui si passa senza davvero sostare: corridoi, gate, sale d’attesa in cui il tempo sembra sospeso e le vite si sfiorano senza incontrarsi. In uno di questi “non luoghi”, l’area artistica di steelbloom al Milan Bergamo Airport, l’arte entra in rotta di collisione con il viaggio grazie a steelbloom sessions, il format che porta musica e parole nel cuore dell’aeroporto.
È proprio in uno di questi “non luoghi” che steelbloom ha scelto di accendere una luce diversa, trasformando l’area artistica del Milan Bergamo Airport in uno spazio di ascolto, riflessione e bellezza condivisa.
Un artista in un “non luogo”
Qui Gabriele Bròcani incontra Cristiano Godano per una conversazione che è molto più di un’intervista: è un attraversamento condiviso di paure, pensieri e visioni sul senso dell’arte oggi.
Seduto davanti al LEDwall, mentre attorno scorrono trolley e annunci di imbarco, Godano racconta il suo rapporto ambiguo con il volo: teme l’aereo, ma ha imparato a vivere l’aeroporto come una zona di comfort, un osservatorio privilegiato sulle esistenze in transito.
In questo scenario, a colpirlo è la prevalenza dei telefoni sui libri: in molti scrollano senza sosta, pochi leggono, e questa immagine diventa subito il punto di partenza per parlare di parole, profondità e attenzione.
La parola come equilibrio tra suono e senso
Per Godano la parola non è un semplice veicolo, ma una materia viva da scolpire con rigore e sensibilità.
Nel dialogo con Bròcani distingue tra poesia e testo di canzone, ma sottolinea come entrambi si basino su una forte economia di linguaggio: poche parole, scelte con cura, che devono essere necessarie, precise e difficilmente sostituibili.
La scrittura, per lui, è un continuo equilibrio tra suono e significato, in cui non esiste una gerarchia netta tra musica e testo: l’una alimenta l’altro, in un dialogo costante che punta a evocare più che a spiegare.
Quando Bròcani gli legge un testo generato dall’intelligenza artificiale “nel suo stile”, Godano coglie alcune affinità superficiali, ma avverte subito l’assenza del “non detto”: mancano la fatica, i tentativi scartati, la stratificazione di vissuto che accompagna il lavoro umano.
Una buona poesia, spiega, suggerisce e apre spazi, non colma tutti i vuoti. Ai giovani che vogliono scrivere canzoni non offre scorciatoie: se i pensieri sono superficiali, anche i testi lo saranno; per alimentare una scrittura viva, bisogna leggere, nutrirsi di idee, allargare il proprio orizzonte interiore.
Musica, clima e responsabilità nell’era della manipolazione
La conversazione si allarga poi al presente della musica e della società. Bròcani richiama il linguaggio spesso dominante in certa scena trap, centrato su denaro, possesso e relazioni trattate in modo ordinario.
Godano non si pone come moralista, ma vede la musica come specchio di un contesto sociale segnato da crisi e semplificazione.
La sua risposta, insieme ai Marlene Kuntz, passa da progetti come “Karma Clima”, un disco che affronta il tema del cambiamento climatico senza scadere nella predica o nella retorica accusatoria.
Per lui l’emergenza ambientale è il problema più grande che l’umanità abbia davanti, già ora, non solo per i figli o i nipoti.
Allo stesso tempo riconosce quanto il peso dell’azione individuale sia limitato in un sistema governato da interessi economici e da una politica spesso incapace di scelte radicali.
In questo scenario vede nella collaborazione tra scienza e arte una possibile via: gli scienziati faticano a farsi ascoltare, mentre gli artisti possono trasformare i dati in narrazioni capaci di emozionare e smuovere.
Ma perché questo accada, serve una maggiore consapevolezza collettiva, oggi minata da una rete che amplifica manipolazioni, polarizzazioni e slogan.
“Stammi accanto”: uscire dall’angoscia con le canzoni
Nella parte finale dell’incontro, il focus si sposta su “Stammi accanto”, il secondo disco solista di Godano. Nato nel periodo immediatamente successivo alla pandemia, il lavoro è il frutto di una fase di blocco creativo e di forte angoscia per il futuro.
Mentre molti musicisti hanno usato il lockdown per scrivere e produrre, lui si è sentito pietrificato: la sospensione del tempo, l’impossibilità di suonare dal vivo, l’azzeramento delle occasioni di lavoro hanno trasformato quella parentesi in un gorgo difficile da attraversare.
Scrivere le canzoni del disco è stato il modo per rimettere in moto qualcosa, trasformando paura e disorientamento in materia poetica.
Attorno alla sua storia personale emerge anche una riflessione più ampia sulla condizione dei musicisti: lo streaming che ha eroso i ricavi dei dischi, la fragilità economica della categoria, il paradosso di pochi grandi eventi‑spettacolo dagli stadi a prezzi altissimi accanto a una rete di concerti medio‑piccoli che faticano a reggere.
In questo contesto, l’esperienza di steelbloom sessions all’aeroporto assume un valore simbolico: riportare la musica e il pensiero in un luogo di passaggio significa restituire profondità all’attesa, offrendo ai viaggiatori non solo intrattenimento, ma la possibilità di imbattersi in una voce che interroga, racconta, prova a dare forma all’inquietudine del presente.